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     Sua sede ha Dio sovra quest’aria posto,
Ed indi move, e tempra l’universo;
E qui tanto da lui, tanto è riposto,
Quanto non può capir prosa nè verso,
Ed io, quando mai fia, meco ho proposto
Starvi suggendo ogni pensier avverso,
Qui tacque, e de destrieri accolse il freno,
E sparve, come suol larva e baleno.

     Restonne il fanciulletto acceso in modo
Per le parole, che quel Dio gli disse,
Che ritrovar non sa requie nè modo,
Così nel suo desir le voglie ha fisse,
Sì che d’andarvi con acuto chiodo
Entro ’l suo petto, il tempo e ’l di prefisse
Che già venuto, e da la madre tolta
Licenza, a l’ale sue tosto si volta.

     E quattro, e cinque volte in aria spinta
Lieve da terra, i vanni stende al dritto
Di meraviglia e tenta assai dipinto
Su per la negra arena de l’Egitto.
Ove di Menfi il prisco onore estinto
Vide, e ’l miracol suo dal tempo afflitto.
Poi lasciò la città, che ’l nome tolse
Dal magno Greco, e gli occhi a Rodi volse.