Pagina:Poemetti italiani, vol. II.djvu/26

22


     Oh che caldi sospir, che amari pianti
Empiono ’l ciel, quando di lei s’accorge!
Oh che duro languir, quai, lasso, e quanti
500Biasmi sdegnoso a la sua stella porge!
Ancor non vide ne’ suoi servi amanti,
Dice, il crudel amor ch’a ciò mi scorge
Desir simile a quel ch’io porto in seno,
Ch’anzi tempo farà ch’io venga meno.

     505O selva, o piaggia, o chiusa valle aprica,
Vedete quel che non vedeste ancora:
O fortuna al mio ben solo inimica,
Ben del comun sentier m’hai tratto fuora:
O van pensier che i semplicetti intrica,
510Dimmi in che parte ogni mio ben dimora:
Di me stesso ardo, e me medesmo bramo,
Io senza frutto alcun rispondo, e chiamo.

     Sempre vien meco quel che io più vorrei,
Nè, se volesse ben, fuggir porria;
515Oh quanto men dolor ne l’alma avrei
Più lunge avendo la speranza mia!
Felice te, che vai dicendo omei
Per cosa pur che ’n altra parte sia:
Tu forse un giorno a te vicin l’avrai,
520Ma se da se non si disgiunge mai.