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     21Non era ancor la scelerata sete
Del crudel oro entrata nel bel mondo:
Viveansi in libertà le genti liete,
E non solcato il campo era fecondo:
Fortuna invidiosa a lor quiete
Ruppe ogni legge, e pietà mise in fondo:
Lussuria entrò ne’ petti, e quel furore,
Che la meschina gente chiama Amore.

     22In cotal guisa rimordea sovente
L’altiero giovinetto i sacri amanti,
Come talor chi se gioioso sente
Non sa ben porger fede agli altrui pianti:
Ma qualche miserello, a cui l’ardente
Fiamme struggeano i nervi tutti quanti,
Gridava al Ciel, giusto sdegno ti muova
Amor, che costui creda almen per prova.

     23Nè fu Cupido sordo al pio lamento,
E ’ncominciò crudelmente ridendo,
Dunque non sono Iddio? dunque è già spento
Mio foco, con che tutto il Mondo accendo?
Io pur fei Giove mugghiar fra l’armento,
Io Febo drieto a Dasne gir piangendo,
Io trassi Pluto dell’infernal segge:
E chi non obbedisce alla mia legge?