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Ed esse, o per natura, o don di Dio,
Sebbene han picciol termine di vita,
Perchè non vedon mai l’ottava estate,
Son di stirpe immortali, e per molt’anni
Stan le fortune delle case loro,
E puonsi numerar gli avi degli avi;
Siccome gli Ottomani appresso i Turchi,
Luigi in Francia, e nella Spagna Alfonsi.
Nè tanto amore, e riverenzia porta
La Gallia al Re Francesco, nè la Fiandra
Al suo Principe Carlo, e Re di Spagna,
Ch’è ora eletto Imperador di Roma,
Nè quei che bevon l’acqua del bel Gange,
Nè l’Egitto, o la Perside, ch’adora
I Regi, e ’l regal sangue, come Dio,
Quanto portano l’Api ai lor Signori.
Mentre il Re vive, tutte hanno una mente,
Un pensiero, un disio, sola una voglia:
Morto, in un punto il popol senza legge
Rompe la fede, e ’l cumulato mele
Suo riposto tesor mettono a sacco.
Spianan le case fino alle radici;
Che ’l Re curava, e custodiva il tutto.
Egli è, che dà le leggi, e che con pena
Ora punisce, ora con premi esalta,
Compartendo gli onori, e le fatiche
Con giusta lance, e pareggiando ognuno.