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Come nella fucina i gran Ciclopi,
Che fanno le saette orrende a Giove,
Alcuni con la forcipe a due mani
Tengono ferma la cadente massa,
E la rivolgon su la salda incude;
Altri, levando in alto ambe le braccia,
Battonla a tempo con orribil colpi;
Altri or alzando le bovine pelli;
Ed or premendo, mandan fuori il finto
Grave, che stride nei carboni accesi;
Parte quando più bolle, e più sfavilla
Frigon la massa nelle gelid’onde,
Indurando ’l rigor del ferro acuto;
Onde rimbomba il cavernoso monte,
E la Sicilia, e la Calabria trema;
Non altrimente fan le picciole Api,
Se licito è sì minimi animali
Assimigliare a’ massimi giganti.
Ognuna d’esse al suo lavoro è intenta.
Le più vecchie, e più sagge hanno la cura
Di munir l’alte torri, e far ripari,
E porre i tetti all’ingegnose case,
Intonacando le rimose mura
Col sugo dell’origano, e dell’appio,
Il cui sapor, come un mortal veneno,
Fugge lo scarabeo, fugge la talpa,
La talpa cieca, che la magia adora;