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E spesso irrigherai le lor radici,
Prendendo un vaso di tenace creta,
Forato a guisa d’un minuto cribro,
Che i Greci antichi nominar Clepsidra,
Per cui si versan fuor mille zampilli.
Con esso imitar puoi la sottil pioggia,
Ed irrorar tutte le asciutte erbette.
Già vidi, chi dal poco avere oppresso,
Per risparmiar la creta, e questi vasi,
Così imparò dall’ingegnosa inopia.
Prese una larga, e corpulenta zucca,
E con un ago di sua propria mano
Le fè nel basso fondo alcuni fiori;
Poi la segò, dove la cara madre
Le fece l’umbilico, e d’onde il cibo
Porgeva alimentando il suo bel frutto.
Dopo questo l’empiea d’acqua del fiume,
Ed adacquava le sue pover’erbe.
E, se non che mi chiama il suon dell’Api,
Direi, come costui con poca terra
Facea le spese ai vecchi suoi parenti,
Ed alla sconcia sua cara famiglia,
Vivendo castamente in povertade.
E direi quel, che a far le prime rose,
E i fior bisogna alla più algente bruma,
Nè lascierei di dir, come biancheggia
Fra verdi fronde, e lucidi smeraldi