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Non leggibil volumi avvivi, e spargi
D’erudito fulgor, cortese accorri
La profonda a sgombrar densa caligo
Cui barbarici tempi, e deplorati
Abbastanza non mai prischi disastri
Apriro in sen del patrio archivio il varco.
Ahimè porte distrutte, e trionfali
Archi, e colonne infrante, e a terra sparte
E torri eccelse al suol curvate, ahi! dura
Rimembranza fatal; ma non per tanto
Reverende rovine ancor segnate
Di gloriose note, che del volgo
Sogliono agli imperiti erranti sguardi
Bene spesso sfuggir, e ai saggi sempre
Ferir d’immota meraviglia il ciglio:
Ma a qual tropp’arduo punto, a qual rimoto
Da bel principio inarrivabil segno
Il sottil occhio tuo già mi par volto,
Sacro Pastor, di rinvenir bramoso
Fra le opache latebre, e fra le ambagi
D’inveterata obblivion sepolta
Di quest’alma Città l’incerta origo?
Impresa è questa in ver che di buon grado
Consegnar giova all’aborrito vaglio,
Di riottoso indagator severo,
E intentata lasciandola fra il cupo
Di vetustà non penetrabil bujo.