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     M’apparve allor nel suo lucente aspetto.
Il nume che là regna e tien sua corte;
275E scior l’udii dal generoso petto
Queste parole in tuon severo e forte:
Al ciel non meno ch’ad Enrica è accetto
Lo zelo tuo: ciò basti; e ti conforte,
Ma coglier serto d’onorate fronde
280Ancor ti nega il fato in queste sponde.

     A pochi è dato il penetrar le arcane
Soglie, alla cui custodia io stesso veglio,
E ad immaturo piè l’orme profane
Porvi non lice, e ’l non osarlo è meglio.
285Tempra per ora le tue brame insane,
E la ruina altrui ti sia di speglio:
Tempo e fatica un dì forse matura
Far ti potranno a così nobil cura.

     Tace, e ritorna l’aer cieco, e fosco,
290Mentr’ei s’avvolge nel suo vivo lume.
Ma, ohimè! non scorgo io più l’annoso bosco
L’ombra soave, e ’l sacro argenteo fiume,
Sopra il patrio terren mi riconosco,
Nè da spiegar al ciel trovo le piume,
295Che a questo cuore travagliato e stanco
Manca il coraggio, e manca forza al fianco.