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Ma tu però le lor rimose celle
Leggiermente col limo empi, e ristucca,
E ponvi sopra qualche ombroso ramo.
Se quivi appresso poi surgesse il tasso,
Sbarbal dalle radici, e ’l tronco fendi,
Per incurvare i lunghi, e striduli archi,
Che gli ultimi Britanni usano in guerra,
Nè lasciar arder poi presso a quei lochi
Gamberi, o granchi con le rosse squamme
E fuggi l’acque putride, e corrotte
Della stagnante, e livida palude,
O dove spiri grave odor di fango,
O dove dalle rupi alte, e scavate
Il suon rimbombi della voce d’Eco,
Che fu forse inventrice delle rime.
Poscia come nel Tauro il bel Pianeta
Veste di verde tutta la campagna,
E sparge l’alma luce in ogni parte;
Quanto gradisce il vederle ir volando
Pe’ lieti paschi, e per le tenere erbe,
Lambendo molto più, viole, e rose,
Su le tremanti, e rugiadose cime,
Che non vede onde il lito, o stelle il Cielo!
Queste posando appena i sottil piedi,
Reggono il corpo su le distes’ali,
E van cogliendo il fior della rugiada,
Che la bella Consorte in grembo a Giove