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Ed imperfetto suo parlar loquace.
Così diss’egli; e poi tra labbro, e labbro
Mi pose un favo di soave mele,
E lieto se n’andò volando al Cielo.
Ond’io, da tal divinità spirato,
Non temerò cantare i vostri onori
Con verso Etrusco dalle rime sciolto.
E canterò come il soave mele,
Celeste don, sopra i fioretti, e l’erba
L’aere distilli liquido, e sereno:
E come l’Api industriose, e caste
L’adunino, e con studio, e con ingegno
Dappoi compongan l’odorate cere,
Per onorar l’imagine di Dio.
Spettacoli, ed effetti vaghi, e rari,
Di maraviglie pieni, e di bellezze.
Poi dirò seguitando ancor, siccome
I magni spirti dentro ai picciol corpi
Governin regalmente in pace, e ’n guerra
I popoli, l’imprese, e le battaglie.
Ne’ piccioli suggetti è gran fatica,
Ma qualunque gli esprime ornati, e chiari,
Non picciol frutto del su’ ingegno coglie.
Già so ben io quanto difficil sia
A chi vuol dirivar dal Greco fonte
L’acque, e condurle al suo paterno seggio,
O da quel, che irrigò la nobil pianta,