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Ma tu, se il tuo bel rio già mai non volva
Acque men chiara, e di minor orgoglio,
E in nettar ogni vena si risolva;
Nè il corso intoppo ti ritardi, o scoglio:
E s’altri a dir d’amor la lingua solva
Le pure avene tue le faccian soglio;
A questa vaga Ninfa, e pellegrina,
A questa ogni furor, e l’onde inclina.
E quando con la face alma, e diurna
Esce la greggia dal suo chiuso ovile,
Premendole del capo il sommo l’urna,
S’ella a te scende con sembiante umile
Tosto le bacia la man bianca eburna.
E contra il corso del natio tuo stile
Di mole ingombra ogni sua falda, e seno,
Sì, che il vaso ne tragga umido, e pieno.
Si direm poi, come oltrecciò, che il fato
Di due vaghi fanciulli aspro reggesse,
Cortese il rivo tuo mostrossi, e grato,
E piegò l’onda se medesma, e presse,
Che alle due sacre pianto in quello stato
Ratto al gran letto ritornando cesse:
Onde Roma poi nacque, e il mondo vinse,
E te di palme gloriose cinse.