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152 POEMETTI IN PROSA

gli astri terribili e le deserte strade — ma ben avevamo in mente il presentimento e il ricordo del Male. C’erano intorno a noi tante cose che non so esprimere — materiali e spirituali — una gravezza nell’atmosfera — un senso di soffocazione — un’ansia, e principalmente quell’orribile stato d’animo della gente nervosa quando ha i sensi eccitati e desti acutamente e ha depresse le facoltà della mente. Su noi pesava una invincibile gravezza — sulle nostre membra, sui mobili della camera, sulle coppe dove bevevamo; tutto era depresso e affranto da essa – tutto fuorché le fiammelle dei sette lumi di ferro che rischiaravano il nostro festino. Le sottili fiamme si allungavano in alto e ardevano pallidissime e immobili; e nel chiarore che la loro luce produceva sulla rotonda tavola d’ebano, presso la qual bevevamo, ciascuno dei convitati vedeva riflesso il suo pallido volto e l’inquieto luccicore degli occhi abbassati dei compagni. Pur ridevamo ed eravamo allegri a modo nostro — istericamente; e cantavamo le canzonette d’Anacreonte, che sono follie e bevevamo molto – sebbene il vino purpureo ci ricordasse il sangue. C’era anche nella nostra stanza un altro ospite in persona del giovine Zoilo, morto e distęso nel suo sudario: il genio e il dèmone della scena.

Ohimé! egli non prendeva parte alla nostra festa; solo il suo viso, sconvolto dalla peste e i suoi occhi nei quali la morte solo a mezzo aveva spento l’ardore del morbo, sembravano unirsi alla nostra gioia con quell’interesse che forse i morti prendono ai piaceri di quelli che sono per morire. Io, Oinos, però, sebbene sentissi gli occhi del morto fissi su me, pur mi sforzavo di non soffrirne l’influsso e, con lo sguardo fisso e fermo nello specchio profondo del tavolo d’ebano, cantavo con voce alta e sonora le canzoni del figlio di Teios. Ma a poco a poco i canti si spensero e la loro eco, via volando traverso i drappi della camera, frettolosa s’allontanò, e alla fine