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il fiore | 343 |
CCXXIV
[La balestriera.]
Troppo avea quell’imagine ’l visaggio
tagliato di tranobile fazzone:
molto pensai d’andarvi a processione,
4e di fornirvi mie pelligrinaggio.
E sí non mi saria paruto oltraggio
di starvi un dí davanti ginocchione,
e poi di notte esservi su boccone,
8e di donarne ancor ben gran logaggio.
Chéd i’ era certan, sed i’ toccasse
le ’rlique che di sotto eran riposte,
11che ogne mal ch’i’ avesse mi sanasse;
e fosse mal di capo o ver di coste
od altra malattia, che mi gravasse,
14a tutte m’avria fatto donar soste.
CCXXV
[Incendio del castello.]
Venus allora giá piú non attende,
però ched ella sí vuol ben mostrare
a ciaschedun ciò ched ella sa fare.
4Immantenente l’arco su’ sí tende,
e poi prende il brandone e sí l’accende.
Sí no lle parve pena lo scoccare,
e per la balestriera il fé volare,
8sí che ’l castel ma’ piú non si difende.
Immantenente il fuoco sí s’apprese;
per lo castello ciascun si fuggio,
11sí che nessun vi fece piú difese.
Lo Schifo disse: «Qui non sto piú io».
Vergogna si fuggi in istran paese,
14Paura a gran fatica si partio.