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340 | poemetti allegorico-didascalici |
CCXVIII
[Venere e Amore.]
Di gran vantaggio fu ’l carro prestato.
Venusso ben mattin v’è su salita,
e sí sacciate ch’ell’era guernita
4e d’arco e di brandon ben impennato,
e seco porta fuoco temperato.
Cosí da Citeron sí s’è partita,
e dritta all’oste del figliuol n’è ita
8con suo’ colombi che ’l carr’ han tirato.
Lo Dio d’amor sí avea rotte le trieve,
prima che Veno vi fosse arrivata,
11ché troppo gli parea l’attender grieve.
Venusso dritta a lui sí se n’è andata,
sí disse: «Figliuol, non dottar, che ’n brieve
14questa fortezza no’ avremo atterrata».
CCXIX
[Venere e Amore.]
«Figliuol mi’, tu farai un saramento,
e io d’altra parte sí ’l faroe,
che Castitate i’ ma’ non lascieroe
4in femina che aggia intendimento,
né tu in uom che ti si’ a piacimento.
Ed i’ te dico ben ch’i’ lavorroe
col mi’ brandone; sí gli scalderoe,
8che ciaschedun verrá a comandamento.»
Per far le saramenta si apportaro,
en luogo di relique e di messale,
11brandoni e archi e saette; sí giuraro
di suso, e disser ch’altrettanto vale.
Color de l’oste ancor vi s’accordaro,
14ché ciaschedun sapea le Dicretale.