Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il fiore | 285 |
CVIII
Falsembiante.
«Ma quand’i’ truovo un ben ricco usuraio
infermo, vòl sovente a vicitare,
chéd i’ ne credo danari apportare
4non con giomelle, anzi a colmo staio;
e quando posso, e’ non riman danaio
a sua famiglia onde possa ingrassare.
Quand’egli è morto, il convio a sotterrare;
8po’ torno e sto piú ad agio che ’n gennaio.
E sed i’ sono da nessun biasmato,
perch’io il pover lascio e ’l ricco stringo,
11intender fo che ’l ricco ha piú peccato;
e perciò sí ’l conforto e sí ’l consiglio,
insin che d’ogne ben s’è spodestato,
14e dato a me, che ’n paradiso ’l pingo.»
CIX
Falsembiante.
«Io dico che ’n sí grande dannazione
va l’anima per grande povertade
come per gran ricchezza, in veritade;
4e ciaschedun de’ aver questa ’ntenzione,
ché ’n un su’ libro dice Salamone:
‘Guardami, Iddio, per la tua gran pietade,
di gran ricchezza e di mendichitade,
8e dammi del tu’ ben sol per ragione.
Ché que’ c’ha gran ricchezza, sí oblia
que’ che ’l criò per lo su’ gran riccore,
11di che l’anima mette in mala via.
Colui cui povertá tien in dolore,
convien che sia ladrone o muor d’envia,
14o será falsonier o mentitore’.»