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il fiore 267

LXXII

Amico.

     «Or sí t’ho detto tutta la sentenza
di ciò che saggio amante far dovria:
cosí l’amor di lor guadagneria,
4sanz’aver mai tra lor malivoglienza.
Se mai trai di pregion Bellaccoglienza,
sí fa che tu ne tenghi questa via,
od altrimenti mai non t’ameria
8che ch’ella ti mostrasse in apparenza.
     E dàlle spazio di poter andare
colá dove le piace per la villa:
11pena perduta seria in le’ guardare;
ché tu terresti piú tosto un’anguilla
ben viva per la coda, e fossi in mare,
14che non faresti femina che ghilla.»

LXXIII

L’Amante.

     Cosí mi confortò il buon Amico;
po’ si partí da me sanza piú dire.
Allor mi comincia’ fort’ a gecchire
4ver Malabocca, il mi’ crudel nemico.
Lo Schifo i’ si pregiava men ch’un fico,
ch’egli avea gran talento di dormire;
Vergogna si volea ben sofferire
8di guerreggiarmi, per certo vi dico.
     Ma e’ v’era Paura, la dottosa,
ch’udendomi parlar tutta tremava.
11Quella non era punto dormigliosa;
in ben guardar il fior molto pensava;
vie piú che l’altre guardi’ era curiosa,
14per ciò che ben in lor non si fidava.