Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il fiore | 265 |
LXVIII
L’Amante e Amico.
Quand’ebbi inteso Amico, che leale
consiglio mi donava a su’ podere,
i’ sí li dissi: «Amico, il mi’ volere
4non fu unquanche d’esser disleale;
né piaccia a Dio ch’i’ sia condotto a tale,
ch’i’ a le genti mostri ben volere
e servali del corpo e dell’avere,
8ched i’ pensasse poi di far lor male.
Ma sòffera ch’i’ avanti disfidi
e Malabocca e tutta sua masnada,
11sí che neuno in me giá mai si fidi:
po’ penserò di metterli a la spada».
Que’ mi rispuose: — «Amico, mal ti guidi:
14cotesta sí non è la dritta strada».
LXIX
Amico.
«A te sí non convien far disfidaglia,
se tu vuo’ ben civir di questa guerra.
Lasciala far a gran signor di terra,
4che posson sofferir oste e battaglia!
Malabocca, che cosí ti travaglia,
è traditor: chi ’l tradisce non erra;
chi con falsi sembianti no ll’afferra,
8il su’ buon gioco mette a ripentaglia.
Se tu lo sfidi o batti, e’ griderá,
chéd egli è di natura di mastino:
11chi piú ’l minaccia, piú gli abbaierá.
Chi Malabocca vuol metter al chino,
sed egli è saggio, egli ’l lusingherá;
14ché, certo sie, quell’è ’l dritto cammino.»