Pagina:Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, 1941 – BEIC 1894103.djvu/261


il fiore 255

XLVIII

L’Amante.

     — «Non ti maravigliar s’i’ non son grasso,
Amico, né vermiglio com’i’ soglio,
ch’ogne contrario è presto a ciò ch’i’ voglio.
4Cosí Fortuna m’ha condotto al basso!
Ira e pensier m’hanno sí vinto e lasso
che non è maraviglia s’i’ mi doglio;
chéd i’ sí vo a fedir a tale iscoglio,
8s’Amor non ci provede, ch’i’ son casso.
     E ciò m’ha Malabocca procacciato,
che svegliò Castitate e Gelosia
11sí tosto com’i’ ebbi il fior basciato.
Allor foss’egli stato in Normandia,
nel su’ paese ove fu strangolato,
14che sí gli piacque dir ribalderia!»

XLIX

L’Amante e Amico.

     Com’era gito il fatto ebbi contato
a motto a motto, di filo in aguglia,
al buono Amico, che non fu di Puglia;
4ché m’ebbe molto tosto confortato,
e disse: «Guarda che non sie accettato
il consiglio Ragion, ma da te il buglia,
che’ fin’amanti tuttor gli tribuglia
8con quel sermon di che t’ha sermonato.
     Ma ferma in ben amar tutta tua ’ntenza,
e guarda al Die d’amor su’ omanaggio,
11ché tutto vince lungia sofferenza.
Or metti a me intendere il coraggio,
ched i’ ti dirò tutta la sentenza
14di ciò che de’ far fin amant’ e saggio».