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250 | poemetti allegorico-didascalici |
XXXVIII
L’Amante.
— «Ragione, tu sí mi vuo’ trar d’amare
e di’ che questo mi’ signor è reo,
e che non fu d’amor unquanche Deo,
4ma di dolor, secondo il tu’ parlare.
Da lui partir non credo ma’ pensare,
né tal consiglio non vo’ creder eo,
chéd egli è mi’ segnor ed i’ son seo
8fedel; sí è follia di ciò parlare.
Per che mi par che ’l tu’ consiglio sia
fuor di tu’ nome troppo oltre misura,
11ché sanza amor non è altro che nuia.
Se Fortuna m’ha tolto or mia ventura,
ella torna la rota tuttavia,
14e quell’è quel che molto m’assicura.»
XXXIX
Ragione.
— «Di trarreti d’amar non è mia ’ntenza»
disse Ragion, «né da ciò non ti butto,
ch’i’ vo’ ben che tu ami il mondo tutto,
4fermando in Gieso Cristo tu’ credenza.
E s’ad alcuna da’ tua benvoglienza,
non vo’ che l’ami sol per lo disdutto
né per diletto, ma per trarne frutto,
8ché chi altro ne vuol cade in sentenza.
Ver è ch’egli ha in quell’opera diletto,
che Natura vi mise per richiamo,
11per piú sovente star con esse in letto;
ché se ciò non vi fosse, ben sappiamo
che poca gente porrebbe giá petto
14al lavorio che cominciò Adamo.»