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248 | poemetti allegorico-didascalici |
XXXIV
L’Amante.
Pianto, sospiri, pensieri e affrizione
ebbi vernando in quel salvaggio loco,
che pena del ninferno è riso e gioco
4ver quella ch’i’ soffersi a la stagione:
ch’Amor mi mise a tal distruzione
che non mi diè soggiorno assa’ né poco;
un’or mi tenne in ghiaccio, un’altra ’n foco
8molto m’attenne ben sua promessione!
Ma non di gioia né di nodrimento;
ch’e’ di speranza mi dovea nodrire
11insin ched e’ mi desse giuggiamento:
digiunar me ne fece, a ver vo’ dire!
Ma davami gran pezze di tormento,
14con salsa stemperata di languire.
XXXV
L’Amante e Ragione.
Languendo lungiamente in tal manera,
e’ non sapea ove trovar soccorso,
ché ’l tempo fortunal che m’era corso
4m’avea gittato d’ogne bona spera.
Allor tornò a me, che lungi m’era,
Ragion la bella, e disse: «Tu se’ corso,
se tu non prendi in me alcun ricorso,
8po’ che Fortuna è ’nverso te sí fera.
Ed i’ ho tal vertú dal mi’ segnore
che mi criò, ch’i’ metto in buono stato
11chiunque al mi’ consiglio ferma il core;
e, di Fortuna che t’ha tormentato,
se vuogli abbandonar il Die d’amore,
14tosto t’avrò co llei pacificato».