tra ’l sangue e le budelle de’ meschini;
quivi moriano amici ed istranieri,
votando selle e squartando destrieri,
di neuna pietá non v’avea mena.
La giovanezza di Roma e i pretori, 173
a guardia di Dominzio e Scipione,
a la schiera n’andâr dei Sanatori;
Pompeo quiv’era e con lui ’l buon Catone,
quiv’eran gli usi e buon’ combattitori,
che del fuggir mai non facean ragione;
la nobile e la gran cittadinanza,
ardita e sanza nulla dubitanza,
dipinta v’è, ch’avean cuor di leone.
Qui v’è dipinta la bella prodezza, 174
che fece Lentulusso, e in che guisa;
quando ’ncontrò Bassil, di grand’asprezza
come spronò ver’ lui a la distesa;
que’ dava a Cesar molto gran baldezza,
la spada i mise al cuor sanza difesa;
e Cesare giurò di vendicarlo,
e sovr’al corpo ristette, a sguardarlo,
e uccise il re de la gente Erminesa.
Agatesse avea nome il nobel sire, 175
abbattél morto sanza nulla lena;
ed Angarino il vide sí morire,
ch’iera su’ nievo: gran duol ne dimena.
Videsi innanzi un nobel cavaliere:
que’ comperò il dolore in mortal pena;
l’assalto fu crudele ed aspro e forte,
Anton fedío Garin quasi ch’a morte;
quiv’era ’l bel riscuotere e schermire.
Dominzio volse verso Antonio allora, 176
cesarieni il caval gli ebber morto;