Non tenner ordine i cesarieni, 169
misersi a l’asta ’n feltra in tra’ nemici;
quegli uccidean Barbari e Numidieni,
si come fosser di Roma patrici:
abbandonavan tutti selle e freni;
deh! chi mai vide sí crudei giudici?
que’ furo snelli nel prim’assalire,
i buon roman’ si miser al soffrire,
ch’aveano ancora ’l cuor quasi d’amici.
Quegli eran sí moventi e visti e pronti, 170
ch’al prim’assalto i nemici fuôr franti;
mischiarsi infin a que’ principi e conti,
vedei que’ dardi spessi usar volanti;
non si vedea de le cime de’ monti,
sí le boccole e gli elmi ieran fummanti;
ciotti di piombo e pietre a manganelli,
aste e tronconi e saiette e quadrelli
mischiavano tra l’oste strid’e pianti.
Ai buon’ Roman’ rimase tutto ’l fascio; 171
Cesare abandonò tutt’altra gente;
poi, di saiette voto ogni turcascio,
le spade vi s’usaron mortalmente;
quando Cesare diede agli altri il lascio,
la quarta legion mosse potente;
e di combatter lasciossi la forma,
che’ mastri avean lor data, e guisa e norma;
mischiârsi co’ nemici orribelmente.
Quiv’è Tessaglie, ch’è satolla e piena 172
del sangue degli Ermini e Surieni;
Cesare e i suoi li uccidiano in gran pena,
molto sangue spargea de’ cittadini;
fortuna s’iera a Pompeo volta ’n pena,