discendendo del poggio era lucente
la gente sua di mirabol chiarezza;
chè ’l sol fedia sovr’agli elmi lucente,
li scudi rilucean di gran bellezza;
Cesar li vide del poggio discendere,
parlò a’ suoi: «Omai non è da attendere,
fortuna mena a noi nostr’allegrezza».
Parlamentando disse a’ suoi: «Signori, 166
lasciate andar que’ Barbarini e Sardi,
e date pur a’ buon combattitori;
negli altri non spuntate i vostri dardi.
Voi siete stati miei conquistatori,
e non s’acquista onor per li musardi;
egli hanno ’nteso in gran dilicatezze,
non potranno durare in nostre asprezze,
che siam moventi piú che leopardi».
Deh! quanto fu fortuna sovrastante 167
ad affrontar sl perigliosa guerra!
che ’l cielo e l’aire ne mostrâr sembiante,
e duri segni n’appariro ’n terra;
l’un mirava l’altro in quello ’stante,
il figlio il padre, avendo in man le ferra;
né l’un né l’altro incominciar volieno;
incominciò Crastino cesarieno,
e uccise Eurache, se ’l pintor non erra.
E come il maladisse il buon Lucano, 168
colui che ’ncominciò, v’è tutto quanto.
Dopo quel colpo, la vallea e ’l piano
e ’l mondo tutto parea grid’e pianto;
l’aire e la terra e il mondo a mano a mano
parea fondesse in quell’or d’ogni canto;
i dardi spessi piú che nulla pioggia
l’aire coprîr, saiette d’ogni foggia;
da ogne parte i cavalier’ moriáno.