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180 poemetti allegorico-didattici


     Sonvi ben que’ di Trache, ov’è Centorso, 136
che fuôr que’ che sellaro pria cavallo;
que’ di Finice vennervi al soccorso,
che ’l saver de la lettera trovallo;
di Suri e d’Antiocce fuôrvi a scorso,
e ’l gran navilio v’è ch’allor menarlo:
a Troia la grande non n’ebbe neente
a la comparigion di quella gente;
a Monte Pirro fuíor sanza ’ntervallo.

     Di tutto ’l mondo sommosse Sextusso 137
la gente, ove Pompeio conosciut’era:
tutti venisser a Monte Pirrusso,
colá ove Pompeio con sua gente era;
neente fue ciò ch’assembiò Cirrusso,
il re di Persia, in Etiopè ov’era,
che non poteo annoverar sua gente:
Sextusso ismosse infino in oriente,
sí che di gente non rivenne scusso.

     Di tutti fu Pompeio duca e signore, 138
che v’ebbe schiere di re coronati;
e Cesar si partío di Roma fuore,
poi ch’ebbe i gran’ tesori dispogliati.
Dipinto v’è, come a Marsiglia allore
que’ mandâr vecchi a lui i piú assennati;
e portâr rami d’ulivo in lor mano,
ch’offender al Sanato e’ non voleáno;
a ciascun duca volean far onore.

     E come disser parole pietose 139
per la salvezza del comune bene,
e Cesar con parole assai crucciose
parlò a’ suoi, sí che lo ’nteser bene:
«Fortuna par che ci pruovi a gran’cose;