Pagina:Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, 1941 – BEIC 1894103.djvu/185


l’intelligenza 179

e due trebun v’avea, che guardatori
eran per lo tesoro a guarentirlo:
parlò Metello e disse: «Bei segnori,
io sol mi metterò in difender quello».
E disse a Cesar: «Neente ’l puo’ fare,
se lo comun tesor credi spogliare:
anzi m’ucciderai, che posse averlo».

     E Cesare parlò molto ’nfiammato, 133
altamente chiamò Metello, e disse:
«Dunqua se’ solo a la difension dato?
Molto faresti ched’io t’offendesse!
di sí gran lode non sarai onorato:
te per salvezza di Roma uccidesse;
bene affrante sarían tutte le leggi,
ché perirebber, se tu sol non reggi
il comune tesoro», e piú li disse.

     Aprir le porte e ’l fisco dispogliaro 134
e tutto l’oro partir tra la gente;
le porte del metallo assai sonaro,
a difension non fue nul sí valente:
li antichi con gran suon quell’ordinaro,
perché non fosse frodato neente,
che quel romor s’udía per le contrade:
quando s’apría sentíal sí la cittade,
frodar non si poteva sottilmente.

     Quiv’erano amassati i gran trebuti, 135
che dava ’l mondo tutto a Roma allora.
Sestusso èvi, e i paesi sommovuti,
sí come mosser sanza far dimora:
que’ da Tebe e d’Attene fuôr venuti,
d’Arcadde ed i Schiavoni e’ Greci ancora,
di Ninive, di Cipri e di Colché,
di Gerico, di Suri e di Tiopé,
di Troia e di Damasco fuôrvi allora.