color che tutto ’l mondo non temiano,
a grandi assedi con molt’ardimento
sicuri ne le lor tende dormiano,
in Roma dimorare ebber pavento?
Sed e’ temero in sí forte fortezza,
dove credean giá mai trovar salvezza?
Fidârsi nel lontan dipartimento.
Sonvi dipinti i perigliosi segni, 100
che n’appariero in aire e sopra terra:
brandon’ di fuoco, grandi come legni,
volâr per l’aire a significar guerra;
una stella apparío, ch’appar per regni
che deon perire ed istrugger per ferra;
e quella stella si chiama cometta,
che raggi come crini ardenti getta:
saette spesse cadean sopra terra.
Un segno ch’è nel ciel, Carro s’appella, 101
mosse di Francia e cadde in Lombardia;
e del bolgan sí sonò gran novella:
gittava fiamme tai che ’l mond’ardea;
la Luna ne scurò e ’l Sol con ella,
e l’aira stava chiara e risplendea,
e tonava con folgori e tempesta;
e ’l fuoco d’una dea c’ha nome Vesta
si divise, che ’n su l’altare ardia.
I divini n’avean di ciò parlato 102
di lungo tempo, dimestichi e strani:
«Quando quel fuoco sará dimezzato,
finiranno le feste de’ Romani».
Il mar divenne rosso assai turbato,
e i Carriddi abbaiavan come cani;
l’imagini del tempio lagrimaro,
le bestie alpestre in Roma il dí veniaro,
le fiere v’apparian di luoghi strani.