sì sono un di quegl’io,
che mai non seppi avere
in me fallenza pur sol di pensato:
ch’abbandonato — tutta volta sono 20a lui, faccendo dono
di me sì com’è stato il su’ piacere.
E poi ch’aggio ubidito
nel reo tempo fallito,
ben deggi’or esser servo, al mi’ parere.
25E quando i’ ho ragione
insieme col talento,
dir posso ben che ciò forte m’agrata;
ché la mia pensagione
talor dava pavento 30a lo disio dov’era, e tal fiata
giva per la contrata — lietamente
ch’era il mi’ cor dolente;
ma pur vivea de la dolce speranza,
lá dove ciascun’ora 35fatto servo dimora,
dond’or mi veggio in tanta beninanza.
Ne la vita gioiosa
dov’ha lo mi’ cor miso,
com’i’ diviso, Amor ch’è segnorile, 40in ciascheduna cosa
dove piacere assiso
si’ a tutt’ore ed opera gentile,
son fatto umile — e dolcemente umano;
perch’io dimostro piano 45a ciascun che d’Amor nul bene attende,
che per sua cortesia
null’or grave li sia
lo sofferir, donde poi tal gioi’ prende.