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sentati egualmente all’ordinaria maggioranza degli uomini. Fedele al suo proprio carattere, la mia malattia si pasceva de’ mutamenti, meno importanti, ma più forti ed improvvisi, che si manifestavano nel sistema fisico di Berenice, in quel singolare e spaventevole sfacelo della sua identità personale.

Nei giorni più splendidi dell’incomparabile sua bellezza, io era certissimo di non averla mai amata. Nella strana anomalia della mia esistenza posso affermare che i sentimenti non mi vennero mai dal cuore, e che le mie passioni sono sempre discese dallo spirito.

A traverso i biancicanti barlumi del crepuscolo mattinale, — a traverso le folte e fresche ombre del meriggio, — di notte, nel silenzio sepolcrale della mia biblioteca, oh, quante e quante volte erami ella balenata allo sguardo! e io l’aveva contemplata lì lì non come la Berenice vivente e palpitante, ma come la Berenice di un sogno; non come un essere della terra, un essere carnale, ma come l’astrazione di un tale essere; non come una cosa da ammirarsi, ma da studiare in ogni sua parte; non come un oggetto d’amore, ma come il tema di una meditazione quanto astrusa altrettanto irregolare. E ora, ora io tremava convulso in sua presenza, io impallidiva al suo accostarsi; nondimeno, nello struggermi amaramente della sua deplorabile condizione di languore e deperimento, mi rammentai ch’essa mi aveva lungamente amato, e in un cattivo momento le parlai schiettamente di matrimonio. — E l’epoca stabilita alle nostre nozze alfin si avvicinava, — allora che un dopo pranzo d’inverno in una di quelle giornate rara-