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faccie, e parlavan tra sè gesticolando, come se pel fatto stesso di quella moltitudine infinita ond’erano circondati, si sentissero soli. E quando in quell’andare venivano fermati, cessavan d’un tratto quei loro borbottamenti, ma raddoppiavano i gesti, e con un sorriso distratto e sgarbato attendevano il passaggio delle persone che avean lor fatto ostacolo. E, allor che venivano urlati e spinti, abbonadantemente salutavano gli urlanti, e parevano colmi di confusione.

In queste due grandi classi di uomini, tranne quanto testè notai, nulla si scorgeva di veramente caratteristico e spiccato. Gli abiti loro appartenevano a quell’ordine ch’è tanto esattamente definito da questa parola: decente. Eran eglino senza dubbio gentiluomini, mercanti, procuratori, provveditori, cambisti — gli Eupatridi1 e il servidorame dell’ordine sociale — uomini di piacere ed uomini attivamente avvolti in perpetui affari, che maneggiavano sotto la diretta loro malleveria.

Essi, però non eccitarono molto la mia attenzione.

Invece chi saltommi tosto agli occhi fu la razza dei commessi, in cui distintamente apparivano due notevoli ordini. Vi erano i piccoli commessi di case a credito, giovani signori tutti chiusi nei loro abiti, con gli stivali ben lucidi, la chioma tutta racconcia ed olezzante, e l’insolenza sulle labbra. Tacerò quel non so che di petulante nei loro modi, che riuscirebbe molto difficile rilevare in una semplice pa-

  1. Discesi da padri nobili (Ευπατρις, ιδος). Nell’Attica, e specialmente in Corinto e in Atene i cittadini per nascita e fortuna più ragguardevoli e potenti, a cui affidavasi il maneggio della Repubblica.

    B. E. M.