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penoso orrore, che non le riesce alleggerirsene se non sotto le mute zolle della tomba. E così l’essenza del delitto perdura mistero inesplicabile e profondo.

Non è valico gran tempo (ed era in sul morire d’una sera d’autunno), ch’io me ne stava seduto innanzi la spaziosa arcuata finestra del caffè D..., a Londra. Duranti più mesi, una triste malattia mi avea legato a letto; ma di que’ giorni, io correva la mia convalescenza e, ritornandomi le forze, mi trovava in una di quelle felici disposizioni che sono proprio l’opposto del nero umore e della noia, — disposizioni in cui gli appetiti morali sono meravigliosamente desti e vellicati, — allorchè il velo che avvolgeva le arcane visioni dello spirito, si scinde, e lo spirito, com’ebbro, si eleva tanto prodigiosamente sopra l’ordinarie sue forze, che l’ardente e candida ragione del Leibnitz pienamente la vince sulla stolta e molle rettorica del Gorgia.

Quel solo poter respirare un po’ libero era già di per sè un godimento, ed io centellava proprio un piacere positivo anche dalle varie e reali sorgenti de’ miei stessi guai. — Misteri di uno stato in cui l’energia fisica s’accoppia alle facoltà sopraeccitate del nostro spirito! Ogni oggetto a me d’intorno m’ispirava un interesse calmo, sereno, — ma pieno di vaghissima curiosità. Uno zigaro in bocca, un giornale sui ginocchi, io me n’era stato seduto durante la massima parte del giorno ora a scorrere attentamente gli annunzi della quarta pagina, ora ad osservare la moltiforme società delle sale, ed ora a guardare a traverso i vetri appannati dai vapori del fumo quanto si passava in istrada.