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ranze, un dramma di timori, mentre l’orchestra sospira ad intervalli la musica delle sfere — la musica delle sfere.»
«Mimi, fatti a immagine di Dio altissimo, borbottano, si sbracciano, di qua e di là saltellano, accennano, volteggiano, destreggiano. Fantocci sventurati, che vanno e vengono al voler d’esseri immensi, senza forma, che mutano, trasportano qua e là la scena, scuotendo dalle loro ali di condor l’inevitabile, l’invisibile Sventura.»
«Dramma moltiforme, sinistro! Oh, certo, certo, noi non lo scorderemo mai, noi, con quel solenne suo Fantasma, eternamente, inseguito, cercato, ricercato da una folla che non riesce, non riuscirà mai ad afferrarlo a traverso un cerchio sempre girante sopra sè stesso, sempre girante sulla stessa linea, sullo stesso perno! E la guazzante Follia, e il Peccato cieco e moltiforme e ’l pallido Orrore forman l’anima di tanto intrigo.
— Girate e girate!»
«Ma, ve’, ve’; traverso la geldra caotica dei mimi s’è immessa una specie di fantasima rampicante! Ve’! — Una cotal cosa di sangue, che, a mo’ di serpe, vien tutta torcendosi e ritorcendosi dall’inosservata, solitaria parte della scena di fondo! E si torce! e si contorce... Ahi! tra quali angoscie di morte rimangon sua preda gl’infelici mimi! e i Serafini danno in grossi singhiozzi veggendo gli acuti denti del Verme maciullar carne ed ossa, e inghiottire i grumi dell’umano sangue.»
«Ed ecco tutti i scintillanti lumi sonosi estinti —