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me conosciute, essa, la sempre placida, la sì apparentemente calma Ligeia, fu l’essere più straziato da’ tumultuosi affanni di passione delira. Nè a me era dato valutare la potenza di tanta passione altrimenti che dal miracoloso dilatarsi dei suoi occhi, che mi rapivano e spaventavano ad una, dalla melodia quasi magica, dalla modulazione, esatta, spiccata e pur placida di sua profonda voce, — e dall’energia selvaggia delle strane parole da lei abitualmente profferite, parole la cui pronunzia facile ed elegante ne addoppiava l’effetto.

Dell’istruzione di Ligeia ho detto; e ho detto ch’ell’era immensa, tale ch’io non ne conobbi mai simile in veruna femmina. In lei, profonda cognizione delle lingue classiche, e, per quanto lontano estendevansi le mie cognizioni nelle moderne lingue d’Europa, giammai avvidimi poterla côrre in fallo. E per verità su qualsiasi tema di erudizione accademica per quanto vantata, ammirata, anzi unicamente per quanto astrusa essa fosse, ho io mai potuto trovare Ligeia in fallo? Come mai quest’unico contrassegno della natura di mia moglie aveva, soltanto in quest’ultimo periodo di tempo, colpito e soggiogato la mia attenzione? — Dissi, la di lei istruzione sorpassar quella di qualunque femmina da me conosciuta; ma, e dove troverebbesi mai uomo che, a guisa di Ligeia, avesse effettivamente discorso tutto il vasto campo delle scienze morali, fisiche e matematiche? Nè io allora scorgeva ciò che adesso veggo chiarissimamente, che cioè le cognizioni di Ligeia fossero gigantesche, fenominali; e nullameno io aveva bastevole coscienza della infinita sua superiorità per rassegnarmi, con confidenza di discepolo, a