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e vagante, la sagacia dell’osservatore non seppe però molte fiate convenientemente addentrarsi nello spirito del poeta e nelle ragioni dell’argomento; — nè certo noi con ciò disconosciamo il fin supremo dell’arte, che in ogni tempo e in ogni luogo esser deve costantemente lo stesso, accoppiare cioè indissolubilmente il bello ed il buono, e facendola così ancella operosa e costante dello spirito e della morale coscienza.

Nè tuttavia sarebbe il caso di grande severità, se meglio si fissasse il principio, o se con più convenienza si tenesse dietro a tutte le manifestazioni sue. Che! non ci commuove essa dunque con sempre nuovi ed ineffabili tripudi la eterna danza degli astri s’un cielo? — Non è sempre religiosamente solenne il miracolo del creato in sul tramonto del sole? o lo spettacolo della vita esuberante alle prime linee porporine dell’aurora? — O una distesa di cielo interminata? o le rabide convulsioni della bufera devastatrice? o l’imperversare furente dell’Oceano? Anzi l’arte, imitando la natura secondo le aspirazioni dell’ideale, non fa che versare un raggio della sua eterna bellezza, che ne circonda, accendendo il cuore al vero per tutte le possibili e indeterminabili parvenze del bello, comprovando la moltiforme virtù delle nostre facoltà nel cómpito dell’imitare e del creare.