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di quelli che, attratti ne’ primi momenti, erano stati più rapidamente inghiottiti.

Allora feci queste tre importanti osservazioni: la prima — regola generale — che, più grossi erano i corpi, e più rapida diventava la loro discesa: la seconda, che, date due masse di estensione uguale, sferica l’una e l’altra non importa di quall’altra forma, la celerità della discesa era maggiore nella sferica: la terza che, avute due masse a volume uguale, cilindrica l’una e l’altra di qualsiasi altra forma, il cilindro veniva ad essere inghiottito più lentamente.

Scampato poi dal pericolo, varie volte tenni ragionamento su tale subbietto con un vecchio maestro di scuola della provincia, dal quale appunto imparai l’uso della parola cilindro e sfera. E mi spiegò (spiegazione ch’io scordai), che quanto aveva osservato era la natural conseguenza della forma dei resti galleggianti; e dimostrommi che un cilindro, avvolgendosi in un vortice offriva più resistenza ad essere inghiottito e veniva attratto con maggior difficoltà d’un corpo di qualunque altra forma e di volume uguale1.

Vi era eziandio una circostanza assai notevole che aggiugneva gran forza a queste osservazioni, eccitandomi disio di verificarle: ed era che, ad ogni nostro giro passavamo avanti ad un barile o ad un’antenna o ad un albero di nave; e che la maggior parte di simili oggetti natanti al nostro livello quando aveva per la prima volta aperto gli occhi su’ portenti del vortice, ora si trovavano assai al di sopra di noi, e pareva si fossero pochissimo scostati dalla primitiva loro situazione.

  1. Archimede; De incidentibus in fluido.

    E. A. M.