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Sulle prime, io era troppo sconvolto per notare ogni oggetto con giusta esattezza. Tutto quanto io aveva potuto osservare consisteva nello spettacolo subitaneo, immane, completo di una magnificenza altrettanto unica quanto magnifica: non sì tosto ritornai in me, il mio occhio si spinse istintivamente verso l’abisso. Nella quale direzione invero io poteva spingere lo sguardo liberissimamente, appunto per la situazione del battello, che rimaneva librato sull’inclinata superficie del pozzo. E sempre il mio legno scorreva sulla sua chiglia, sempre, in maniera che il suo ponte faceva un piano parallelo a quello dell’acqua formante come una scarpa inclinata oltre i 45 gradi, onde pareva che noi ci reggessimo sul nostro fianco. Nella quale situazione rilevava eziandio come omai, a tenermi con le mani e co’ piedi, io non durassi maggior disagio che se mi fossi trovato sur un piano orizzontale; lo che, suppongo, dipendeva dalla massima velocità con cui giravamo.
Pareva, che i raggi della luna cercassero l’imo fondo dell’immenso abisso; e, tuttavia, nulla io poteva scernere di distinto a motivo della fitta nebbia ond’erano avvolte tutte cose, sulla quale vibravasi uno stupendo arco baleno, simile allo stretto e minaccievol ponte che i Mussulmani tengono, essere l’unico passaggio tra il Tempo e l’Eternità. La quale nebbia o schiuma era naturale effetto del conflitto delle sterminate muraglie dello imbuto strano, colaggiù nell’imo baratro, dov’esse, urtando, cozzavano sprizzandosi vorticosamente. Nè io mi sento capace di descrivervi l’urlo incessante che da que’ baratri levavasi tra quella nebbia al cielo.
Il nostro primo sdrucciolar nell’abisso ci avea