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d’un tratto, quasi con fulminea rapidità rilevossi, e prese una forma distinta e definita, in una periferia d’oltre un miglio di diametro. Levavasi sul margine del turbine una larghissima fascia di schiuma tutta fosforescente, luminosa, senza tuttavia che un solo bioccolo se ne spiccasse nella voragine del terribile imbuto, il cui interno, per quanto spingervisi potesse l’occhio, rassomigliava ad una muraglia liquida, tersissima, brillantissima e nereggiante, che con l’orizzonte faceva un angolo di 45 gradi all’incirca, volvente sopra sè stessa per l’influsso d’un movimento ruotatorio assordante, il quale ripercuotevasi nei cieli a mo’ di eco dolente di moltitudine d’anime infinita, spaventosissima, lì tra il clamore e il ruggito, tale, che la stessa potentissima cateratta del Niagara nelle sue convulsioni non ne lanciò mai di simili contro il cielo.

E il monte in su l’ampia sua base tremava, e il masso si sommuoveva e d’ogn’intorno stranamente l’aria fischiava; ed io mi lasciai andar bocconi, e, in un eccesso di agitazione nervosa, mi aggrappai alle intristite erbette.

— Ecco, sclamò infine il vegliardo, come scosso di súbita invincibil forza, ecco! ciò non può essere altro che il gran turbine di Maelslrom, come usano taluni chiamarlo: ma noi, noi Norvegi lo diciamo il Moskoe-Strom, dall’isola di Moskoe, sita a mezzo cammino.

Per vero, le ordinarie descrizioni di simile turbine non mi aveano onninamente preparato alla scena che mi s’offriva d’innanzi. Per esempio, quella di Giona Ramus, ch’è forse la più particolareggiata di tutte, non vale a darci la più lieve idea della magnificenza e dell’orrore del quadro, nè della