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gna che non vi lasciate prendere da sì puerili ubbie: che, che! anzi vi ho qui condotto per farvi a tutto vostr’agio contemplare il teatro dell’avvenimento, di cui teste vi diceva, e per narrarvi la mia storia proprio con la stessa scena svolgentevisi sotto gli occhi.

Noi siamo ora — soggiunse con quel far minuzioso, ch’era lo spicco del suo carattere — noi siamo ora sulla stessa costa di Norvegia, al 68.° grado di latitudine, nella grande provincia del Nordland e nel lugubre distretto di Lofoden. E la montagna, di cui stiamo in cima, nomasi Helseggen, la Nebbiosa. Ed ora fatevi un po’ in qua, qui, accostatevi a quest’erbosa sponda, se vi sentite pigliar di vertigine. Bravo; così. Adesso spingete un po’ lo sguardo al di là di quella cerchia di vapori, che ci nasconde il mare fremente ai nostri piedi. Ecco; osservate.

Io mi posi a mirare vertiginosamente, e scorsi una distesa di mare il cui colore d’inchiostro mi richiamò a tutta prima in mente il quadro del geografo Nubiano e il suo Mare delle Tenebre.

Era un panorama il più spaventosamente desolato che immaginazione d’uomo abbiasi mai potuto creare. A destra ed a manca, lontano tanto che l’occhio infin vi si perdeva, allungavansi, simili a’ bastioni del mondo sconfinati, le linee di un’altissima scogliera, orribilmente nera e minacciante rovina, il cui orrido e cupo carattere era potentemente accresciuto dalla vorticosa rabbia del fiotto, che saliva sino sopra la bianca e lugubre sua cresta, urlando e muggendo eternamente. E, proprio di rimpetto il promontorio, sulla cui vetta noi stavamo assisi, alla distanza di cinque o sei mila miglia, a mezzo il mare, scorgevasi un’isola dall’ammosfera inospitale,