Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 231 — |
diventava il corpo stesso. A lungo andare, come soventi accade a uom che dorma (il sonno e il mondo del sonno sono le sole immagini della Morte), a lung’andare, dico, come accade a uomo giacente in profondo sonno, quando un raggio d’improvvisa luce, trattolo di soprassalto da lieve riposo, il lascia poi vagamente ravvolgersi nei primitivi sogni, e in pari guisa a me, in quell’avvinghiarmi fatale dell’Ombra, venne la luce che sola aveva potere di scuotermi, di destarmi improvviso, — la luce dell’eterno Amore. E vennero uomini a lavorare alla tomba che mi chiudeva in sua notte; ne tolsero la terrà umida, e sulle mie polverenti ossa discese la bara di Una.
E dappoi, una volta ancora, tutto fu niente. — Quella specie di fosforica luce s’era dileguata, e quell’incomprensibil fremito, nell’immobilità, svanito. Oh, son passati lustri assai, assai! La polve ritornò alla polve. Il verme non aveva più a rodere. Il sentimento dell’essere era a lungo andare scomparso, ed a suo posto (a posto di tutte le cose) dominavano, supremi ed eterni autocrati, il Luogo e il Tempo. Per ciò che non era, — per ciò che non aveva forma, — per ciò che non aveva pensiero, — per ciò ch’era privo di sentimento, — per ciò che era senz’anima nè più possedeva atomo di materia, — per tutto questo nulla e tutta quest’immortalità, la tomba era ancora un abitacolo, le ore corrosive, una società.