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cara, avevi nel supremo momento bagnato lievemente le mie labbra, mi destava dolci e gentili idee di fiori, — fiori fantastici, superlativamente, infinitamente più belli di qualunque fiore della vecchia Terra, — fiori i cui vaghissimi modelli oggimai, come scorgi, levansi ed agitansi misteriosamente a noi d’intorno. Le palpebre, esangui e trasparenti, aveano cessato di frapporre ostacolo alla visione; e poichè la volizione era sospesa, inattiva, i globuli non potean rotarsi in loro orbite, — tuttavia ogni oggetto sito in sulla linea dell’emisfero visuale appariva più o meno distintamente; e i raggi che cadeano sulla retina esterna o nell’angolo dell’occhio, producevano un effetto più vivo che quelli che colpivano l’interna superficie o che illuminavanla di faccia. Quest’effetto, tuttavia, nel primo caso, era tanto anormale che mi era dato soltanto valutarlo come fosse un suono, — un suono dolce o discorde, a seconda che gli oggetti offerentisi dalla mia parte erano luminosi o avvolti nell’ombra, di forma sferica o angolosa. Nello stesso tempo l’udito, sebbene sopraeccitato, nulla aveva d’irregolare in sua azione, ond’era in istato di valutare i suoni reali con precisione veramente uguale alla sua sensibilità. Modificazione più singolare poi aveva subìto il tatto, il quale riceveva le sue impressioni, sì, ma assai lento, quasi con difficoltà; ricevutele però, fortemente, tenacemente le riteneva, in modo che sempre ne risultava uno dei più esaltati, dei più sentiti piaceri fisici. Per lo che la dolcissima pressione delle tue dita sulle mie palpebre la prima volta venne solo avvertita dall’organo della vista, ma dappoi, e assai tempo dopo che tu le ritrae-

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