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«In molti casi, non certamente in tutti, io ho per fermo che l’ubriachezza di Poe fosse un mezzo mnemonico, un metodo di lavoro, metodo energico e mortale, ma proprio della passionata sua natura. Il poeta erasi dato al bere così come un letterato compíto s’esercita a far quaderni di note. Ei non poteva reggere, il meschino, al disío di svegliarsi visioni meravigliose e terribili, que’ sottili ed artificiati concepimenti che egli aveva incontrato in una precedente tempesta; eran vecchie conoscenze che imperiosamente il traevano, ed egli, il buon uomo, per riappattumarsi con esse pigliava la via più pericolosa, ch’era però la più dritta. E parte oggi giorno di ciò che forma, leggendo, il nostro vivo piacere, è ciò che l’uccise.»
Per verità se quest’ultima frase può sembrare truce, è non pertanto profondamente filosofica e mesta...
Taluno invero parve pigliarsela con quella sottigliezza metafisica, con quella quasi indefinita linea di scopo, con una specie di fantasticheria troppo allucinatoria non sempre adatta a stomachi digiuni ed agl’ingegni men che colti e gentili; con quel fare, insomma, che nell’analisi acuta del fatto superiormente trascende, alieno talora da ogni rispetto a’ principj così come da convenzionali ragioni. E pure questo fare per noi è criterio di ben altri giudizj, e