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parola che una volta versava angoscia in ogni cuore, spandeva amarezze in ogni piacere!
Una. — Ah, la Morte! lo spettro che ci era sempre su’ piedi ad ogni festino! Quante volte, o Monos, non ci lasciammo noi ire a meditare sulla sua natura! E com’ei levavasi lì lì rivisore misterioso, dinanzi l’umana felicità, dicendole: «Sin là e non più in là!» Quest’ardente, questo reciproco nostro amore, o mio Monos, che avvampava ne’ petti nostri, per cui vanamente ci lusingammo, sentendoci tanto felici sul suo nascere, che la nostra felicità sarebbe pari a lui cresciuta d’intensità e forza; ohime! quest’amore s’accrebbe, sì, ma pur s’accrebbe con lui ne’ petti nostri il terrore dell’ora fatale che veniva, veniva a separarci per sempre! Così col tempo l’amore convertissi in dolore. Allora l’odio sarebbe stato per noi vera pietà.
Monos. — Non parlare in così fatto modo di queste pene, cara Una, — mia ora e mia per sempre!
Una. — Ma, e non è forse il ricordo dei passati affanni che fa la gioja del presente? Anzi vorrei ben io parlare a lungo, ancora a lungo, delle cose che più non sono. E soprattutto son accesa del disìo di conoscere gl’incidenti del tuo viaggio attraverso l’Ombra e la Valle nera.
Monos. — E quando mai la mia raggiante Una ha ella fatto invano una domanda al suo Monos? Narrerò tutto, tutto, per filo e per segno; — ma da qual punto dee cominciare il misterioso racconto?
Una. — Da qual punto?
Monos. — Sì, da qual punto?
Una. — Ti comprendo, Monos. La Morte ha rivelato ad ambedue l’inclinazione che ha l’uomo