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ritrassi. La sua camera era nera, nera come l’ala della notte, tenebra fitta, null’altro che tenebra fitta, — chè ogni apertura era chiusa e le imposte delle finestre accuratamente serrate per timore dei ladri; e sapendo com’ei potesse vedere il lento aprirsi della porta, proseguii ancora a spingerla, ancora — e ancora....

Aveva già passato la mia testa ed era sul punto d’aprir la lanterna, quando il mio pollice scorrendo sulla serratura di latta, lievissimamente stridette; e il vecchio, d’un attimo, rizzatosi sul letto, gridò: — Chi va là?

Io rimasi immobil qual sasso; e non fiatai; e, per tutta una lunga ora, non mossi muscolo e in tutto questo tempo no ’l sentii ricorcarsi. Egli era sempre seduto sul letto, l’orecchio teso, — precisamente come aveva fatto io medesimo per lunghe e intiere notti acquattandomi ad ascoltare lungo i muri gli oriuoli a polvere.

Ed ecco che giunse al mio orecchio un debile gemito, che immediatamente riconobbi pel gemito di mortal terrore. Non era un gemito di dolore o di affanno;— no; era il romore sordo e soffocato che alzasi dai penetrali d’un’anima affranta di spavento. Oh, io conosceva ben quel romore, io! Quante notti, in su le dodici, mentre il sonno gravava gli occhi dei mortali, quel rumore s’era levato dal mio proprio seno, ingigantendo con la terribile sua eco i terrori ond’era invaso! E dico che ’l conosceva ben io, quel rumore; se ’l conosceva! E perciò che sapeva ciò che pativa il povero vecchio, e che sentiva pietà di lui, sebbene un riso beffardo mi muovesse il cuore. Sapeva che, dopo quel primo lievissimo rumore, allorchè