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non avrebbe contraddetto alla più evidente testimonianza dei sensi, anzichè sospettare di una tale condotta il gioviale, il franco, il generoso Guglielmo Wilson, — il più nobile e il più liberale compagnone di Oxford, — quegli le cui follie (così esprimevansi i suoi parassiti) non erano che follie giovanili di fantasia sfrenata — i cui errori, inimitabili capricci, — i più neri e schifosi vizii, una stravaganza spensierata e superba?

Eran valichi due anni da che io menava questa vita scioperata e gioconda, allorchè giunse all’università un giovane di fresca nobiltà — un cotale Glendinning, — ricco, così voleva la pubblica voce, come il greco Erode, e a cui queste sfondate ricchezze eran costate un bel nulla. Non tardai ad accorgermi come ei fosse uomo di ben meschina intelligenza, quindi naturalmente il designai vittima eccellente de’ miei industriosi talenti. Cominciai a porlo in impegno di giuocare spesso, e con l’abituale astuzia del giuocatore m’indussi a lasciargli guadagnare considerevoli somme per farlo cadere con più certezza ne’ miei lacci. Da ultimo essendo ben maturo il mio disegno, risoluto di vederne la fine, m’imbattei seco lui in casa d’uno de’ miei camerata, il signor Preston, egualmente legato a noi due, il quale — è mio dovere rendergli questa giustizia — non nudriva il menomo sospetto sul mio disegno. E, a colorire debitamente la cosa, io aveva avuto cura d’invitare una società di otto a dieci persone, ed erami particolarmente studiato di far sì che l’introduzione delle carte sembrasse affatto accidentale e non avesse luogo che per proposta del merlotto cui voleva trar nella rete. Insomma, a tagliar corto, in così abbietto affare io non ommisi veruna