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susurrò all’orecchio queste parole: Guglielmo Wilson!

In un attimo m’era ritornata la ragione.

Nel contegno dello straniero, nel tremito nervoso del suo dito, ch’ei teneva alzato tra i miei occhi e il barlume crepuscolare, eravi qualcosa che mi riempiva di completo stupore: questo però non era quello che più mi avesse meravigliato. Ma l’importanza del fatto, la solennità dell’ammonizione contenuta in quella singolare parola, parola sommessa, stridula, e soprattutto il carattere, il tono, la chiave di queste sillabe, semplici, famigliari, è vero, ma nondimeno susurrate con alto mistero, ecco quanto sorse ad agitarmi l’anima con mille rimembranze stranissimamente ravvolte del mio passato; e che, quasi tocco di pila voltaica, mi scosse ogni fibra. — E, prima che fossi rinvenuto in me, egli era scomparso.

Sebbene tale avvenimento avesse veracemente prodotto un effetto vivissimo sulla mia immaginazione, nondimeno quest’effetto finì con l’andare del tempo per indebolirsi e farsi nullo. Invero accadde che, nel giro di più settimane, ora mi dèssi alle più scrupolose ricerche, ora restassi profondamente avvolto in una nube di meditazione calma. Io non mi studiai per niente di dissimularmi l’identità dell’individuo singolare che si frammetteva con tanta ostinazione ne’ miei affari e mi stancava co’ suoi ufficiosi consigli. Ma, e chi era egli mai cotesto Wilson? — E donde veniva? — E quale il suo scopo? — Non mi è dato di poter rispondere a nessuno di tali quesiti: soltanto, relativamente a lui, constatai che un subitano accidente nella sua famiglia avevalo costretto ad abbandonare l’istituto