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Dopo lo spazio di più mesi da me passati presso i miei parenti nel più assoluto ozio e nella più deplorabile spensieratezza, io venni condotto al collegio di Eton. Questo breve intervallo di tempo era bastato per affievolire i miei ricordi degli avvenimenti del collegio Bransby, o almeno ad operare un notevole mutamento nella natura dei sentimenti inspiratimi da simili rimembranze. La realtà, la parte viva del dramma per me più non esisteva. Per la qual cosa adesso quasi quasi sembravami avere motivo di dubitare della testimonianza dei sensi miei; e quasi sempre al rammentarmi quell’avventura meco stesso maravigliava degli eccessi vivaci della nostra credulità, e rideva pensando alla veramente prodigiosa forza di fantasia, ch’era retaggio di mia famiglia. La turbinosa follia, a cui immediatamente e spensieratamente mi abbandonai, cancellò ogni traccia del fosco passato, e — qualche raro baleno eccettuatone — assorbì brevissimamente ogn’impressione seria e soda, solo lasciando nei ricordi della giovine mente le leggerezze e le fanciullaggini della precedente mia esistenza.

Non è tuttavia mio intendimento di qui tracciare il corso delle sciagurate mie dissolutezze, che, sfidando impunemente ogni legge, eludevano qualunque sorveglianza. Tre anni, tre anni, dico, di ogni sorta di pazzie, fatte senza profitto alcuno, s’intende, mi avevano infine inoculato gli abiti del vizio più profondo, e promosso in un modo singolare ed anormale le facoltà della fisica mia costituzione. Un dì, dopo un’intiera settimana di sregolatezze le più brutali, io invitai una compagnia di studenti fra i più dissoluti a un’orgia segreta nella mia stanza. Dovendosi quella scena di sfrena-