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recondita fibra dell’esser mio. Violento battemi il cuore, mi vacillano le ginocchia, e tutta l’anima è presa da un orrore intollerabile ed inesplicabile. Il mio respiro era convulso; — avido avvicinai ancor più la lampada alla sua faccia.

— Eran quelli, eran quelli i lineamenti di Guglielmo Wilson? — Lo erano?!

Ed io pure scorgeva ch’erano i suoi, ma tremava, tremava a verga a verga, come in un accesso di febbre, al solo immaginarmi che non fossero i suoi. — Ma qual cosa era dunque in essi che mi potesse a tal segno confondere? Io lo contemplava, e sentiva il mio cervello dar di volta sotto l’influsso di mille incoerenti pensieri. No, egli non mi sembrava proprio così, e nemmeno mi appariva tale nella sveglia od alle ore della nostra ricreazione.

— Dio! lo stesso nome! i lineamenti stessi! entrati lo stesso dì al collegio! E poi quella beffarda ed inesplicabile imitazione de’ miei passi, della mia voce, delle mie abitudini, de’ miei modi! E che! era egli dunque ne’ limiti delle possibilità umane che ciò che vedeva adesso, fosse il semplice effetto dell’abitudine di quell’imitazione sarcastica? — Vinto di terrore, tremante dal freddo, estinsi la lampada, e silente e mogio mogio uscii di camera, rifacendo i miei passi....

Alcuni giorni dopo, io aveva dato l’addio a quelle per me sì ingrate e terribili mura1.

  1. Se qualche gentile vorrà qui riscontrare questo passo col testo, ho persuasione che la sua sagacia non mi porrà a carico la piuttosto ampia libertà di cui stimai far uso. — E ciò valga pure per altre libertà che non è il caso di notare, perchè certamente lo possono essere già state dal lettore.

    B. E. M.