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in un odio reale. E vi fu — almen lo presumo — una circostanza in cui egli ben di ciò s’accorse; e da quel dì m’evitò, o affettava almeno d’evitarmi.
Se la memoria non mi falla, fu verso quest’epoca che, in un alterco violento con lui sostenuto, alterco in cui dimenticò la sua circospezione abituale, parlando ed oprando con un lasciar fare contrario all’indole sua, io scopersi, o credetti di scuoprire nel suo accento, nell’aria sua, nel complesso della sua fisionomia, un non so che, che a tutta prima fecemi vivamente trasalire, e dappoi profondamente interessommi, destando nel mio spirito come delle oscure visioni della prima infanzia, — ricordi strani, confusi, rapidi, — ricordi d’un tempo in cui la mia memoria non era ancor nata. Nè meglio io saprei definire quell’ibrida sensazione ond’era preso, se non col dire che mi riesciva difficile lo sbarazzarmi dall’idea che io avessi già conosciuto l’anteriore mio essere in un’epoca molto antica, in un passato estremamente, ineffabilmente lontano.
Tutta fiata, cotale illusione svanì altrettanto rapidamente, quanto rapidamente erami comparsa; e qui io non la noto che per far conoscere l’ultimo giorno da me passato col mio fatale omonimo.
Il vecchio ed ampio edilizio, ne’ suoi innumerevoli e grandi scompartimenti, comprendeva molte e vaste camere in comunicazione tra loro, che servivano di dormitorj al maggior numero degli allievi. Vi era nondimeno (come di necessità si trova in cotali fabbriche, tanto sventuratamente disegnate, e più sventuratamente erette) un’infinità di cantoni, cantucci e nascondigli — vere frangie,