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mio nome osava gareggiare con me negli studi della scuola, nei giuochi e nelle dispute di ricreazione; e con orgoglio rifiutava fede alle mie asserzioni, ed una completa sommissione alla mia volontà; insomma, sempre ed in ogni modo avversava la mia dittatura. Notate bene: se mai ci ebbe quaggiù un dispotismo supremo ed assoluto, illimitatissimo, e’ fu ed è quello di un fanciullo di genio che s’erge sugli animi meno energici e pronti de’ suoi camerata.

Per me, sorgente di serie noie e di grandi imbarazzi la ribellione di Wilson; e tanto più che, — in dispetto alla millanteria con cui mi faceva un dovere di trattarlo in pubblico, lui e i suoi pretendenti, nell’intimo io sentiva di fortemente temerlo; e l’uguaglianza che con tanta facilità e’ manteneva rimpetto a me, mi appariva, e lo era, come una vera prova della sua superiorità, — poichè da parte mia doveva perdurare in un continuo sforzo per non esserne dominato.

Nondimeno, una tale superiorità, o piuttosto uguaglianza, non era in fin fine riconosciuta ed ammessa che da me solo; per una cecità inesplicabile, sembrava che i nostri camerata non sospettassero la cosa menomamente. Invero, la sua gara, la sua resistenza, e in modo speciale l’impertinente e maligno suo impicciarsi ne’ fatti miei, non oltrepassava i limiti di private intenzioni. Egli sembrava egualmente spoglio di quella ambizione che mi spingeva continuo a dominare su tutti, ed alieno da quell’energia appassionata che mi somministrava i mezzi di oprare. Sarebbesi potuto credere che, in tale rivalità, e’ fosse unicamente spinto e diretto a contrariarmi, a sorprendermi, a mor-