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spettivo ritorno: allora, ad ogni suo stridere cupo sugli arpioni, noi presentivamo un mesto influsso di mistero, — un mondo indefinito di osservazioni solenni, un arruffio di pensieri ancora più cupi.
Quel vasto recinto si stendeva in forma regolare divisa in più parti, di cui le tre o quattro maggiori formavano la corte di ricreazione, la quale era piana e coperta d’uno strato di sabbia pura e sottile. In essa — ben me ’n ricordo — non alberi, non panche, nè altro di analogo qualsisia. Naturalmente, essa aprivasi al di dietro della casa. Innanzi poi la facciata si distendeva un piccol giardino, in cui qua e là elevavansi bossi ed altri arbusti: però, ben di rado noi attraversavamo questa sacra oasi, in occasione cioè del nostro primo arrivo alla scuola o di definitiva partenza, o forse anco allora che un amico, un parente avendoci fatto chiamare, ebbri di gioia e di amore, ci avviavamo alla casa paterna alle vacanze del Natale o del S. Giovanni.
Ma, e la casa? — mio Dio, qual vecchia e curiosa fabbrica ell’era mai! —
Lo confesso, a me sembrava un vero palazzo di fate; e, in verità, non sarebbesi potuto trovare uscita di sorta ne’ suoi andirivieni, non fine in quegli avviluppatissimi anditi e suddivisioni. Sarebbe stato difficile in qualsiasi momento conoscere dove eravate, se cioè al primo od al secondo piano: dall’una all’altra stanza potevate star certi di trovare due, tre od anche quattro scalini per salire e discendere. Gli scompartimenti laterali poi, innumerevoli, inconcepibili; giravansi e così ben intrigavansi l’uno l’altro, che le nostre idee più esatte e fisse, relativamente all’insieme di quella