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dunque per questo, che niun conobbe mai gli stessi dolori? O non avrò io proprio vissuto che di sogni? Nè, dunque, io morrò vittima dell’orrore e del mistero delle stranissime fra tutte le visioni di quaggiù?

Io sono il discendente di una razza segnalata in ogni tempo per un’indole immaginosa ed eccitabile sovranamente; e la mia prima infanzia stessa comprova ch’io aveva intieramente ereditato il carattere della mia famiglia. Col crescere degli anni questo carattere disegnossi più fortemente, e divenne per mille modi una ragione di serie inquietudini pei miei amici, e di pregiudizio, effettivo per me stesso. Per natura e per volontà io mi diedi ai più selvaggi capricci e fui in balia delle passioni più indomabili. Spiriti deboli, e disgustati anche dai difetti della fisica mia costituzione, i miei parenti non potevano molto adoprarsi per frenare le pessime tendenze che in me allignavano sì spiccate. Fecero, è vero, qualche tentativo per migliorarmi; ma, perchè debole e mal diretto, non riescirono, — lo che fu per me un motivo di completo trionfo. Da allora, la mia parola in casa fu legge, e in un tempo in cui pochi pochissimi fanciulli smettono gli abili di loro età, io venni lasciato al mio libero arbitrio, e mi trovai signore di tutte le mie azioni, — il nome eccettuato.

Le prime impressioni della mia vita di studente sono legate ad una vasta e stravagante casa dello stile d’Elisabetta, in un mesto e remoto villaggio1

  1. Stoke — Newington, presso Londra. — Come si disse, questa novella è una rimembranza della vita di collegio del Poe.

    B. E. M.